Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

La legittimazione processuale delle autorità amministrative indipendenti: un ritorno all'oggettività del giudizio amministrativo? (di Luca Belviso)


The essay deals with standing of Independent Administrative Authorities. First of all, the research highlights the objective nature of Indipendent Authorities standing and its effects on the assessment of the administrative judge. Moreover, it describes the genesis of these standing provisions, highlighting its compromising logic. Subsequently, it focuses on the aptitude of these standing powers to change the features of the administrative judicial proceedingThe analysis of the specific powers of standing for each Independent Authority is then conducted on the basis of the most recent judgements of the administrative judgeFinally, in the conclusions, the study intends to verify if these powers mark a return to the ancient objectivity of the administrative judicial proceedings.

   

SOMMARIO:

1. Un'introduzione a partire dalla legittimazione a ricorrere nel pro­cesso amministrativo - 2. La genesi di tali attribuzioni fra logica compromissoria e veste suppletiva - 3. Il lato oscuro dei processi fra pubbliche amministrazioni - 4. Le singole ipotesi di legittimazione processuale: fattispecie con pochi punti fermi e ancora in cerca di regole - 5. Un ritorno all'oggettività del giudizio amministrativo? - 6. Riflessioni conclusive in punto di legittimità costituzionale - NOTE


1. Un'introduzione a partire dalla legittimazione a ricorrere nel pro­cesso amministrativo

La legittimazione ad agire è nell’attuale processo amministrativo al centro di ripensamenti e rivisitazioni. Basti pensare ai recenti scritti dottrinali [1] e decisioni del Consiglio di Stato [2] che hanno ricondotto tale condizione dell’azione alla titolarità affermata della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, focalizzando l’accer­tamento del giudice al piano delle mere prospettazioni del ricorrente. Un orientamento, questo, che contrasta con la tradizionale tesi [3] dell’effet­tiva titolarità della posizione sostanziale dedotta in giudizio, e che avvicina il processo amministrativo a quello civile [4], evitando che siano anticipati alla fase preliminare profili che appartengono invece alla trattazione della causa nel merito. Lo sguardo all’evoluzione storica del nostro sistema mostra del resto come l’orientamento più tradizionale sia sorto in tempi diversi, quando altri erano i fondamenti teorici che sorreggevano il giudizio amministrativo: quando l’inte­resse legittimo veniva inteso come strumentale alla legittimità dell’azione amministrativa [5] e il processo amministrativo era «centrato» sulla sola azione di annullamento [6]. La nuova impostazione merita pertanto speciale attenzione soprattutto sotto il profilo della sua recezione da parte della dottrina e della giurisprudenza amministrativa. L’accertamento della legittimazione ad agire sembra tuttavia cambiare ancora di fisionomia laddove sia la legge a costituirne fonte diretta di riconoscimento, come nel caso della legittimazione processuale delle autorità amministrative indipendenti. Infatti, in tali ipotesi di legittimazione oggettiva [7], ove quindi la norma e­spressamente investe determinati soggetti della legittimazione ad agire a tutela di interessi pubblici, ci si domanda se il giudice amministrativo debba limitarsi ad accertare l’esistenza della previsione ordinamentale ai fini di ritenere integrata la legittimazione ad agire [8], o debba invece andare oltre ad essa, al fine rinvenire, sempre e comunque, la titolarità (affermata o effettiva che sia) di una situazione giuridica soggettiva in capo al ricorrente. Inoltre, il carattere oggettivo della legittimazione induce a riflettere persino su quanto debba essere intenso, da parte del giudice [continua ..]


2. La genesi di tali attribuzioni fra logica compromissoria e veste suppletiva

L’accesso alla giustizia amministrativa delle autorità amministrative indipen­denti si fonda, oggi, su tre previsioni di legge, che legittimano al ricorso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) [10], l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) [11] e l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) [12]. La prima è legittimata ad agire in giudizio al fine di impugnare gli atti adottati dalle pubbliche amministrazioni in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato. La seconda può ricorrere al giudice amministrativo per richiedere l’annullamento di atti adottati dai Comuni che siano espressione di adeguamento dei livelli di prestazione del servizio taxi. La terza, infine, può accedere alla giustizia amministrativa per impugnare taluni atti, che si inseriscono nella procedura ad evidenza pubblica, adottati dalle stazioni appaltanti. In ciascuno di questi casi ci troviamo di fronte a prerogative di iniziativa processuale, la cui genesi è connessa alla volontà di proteggere interessi pub­blici di cui le Autorità sono già istituzionalmente guardiane, che sono di matrice euro-unitaria e che sono ritenuti tanto rilevanti da meritare una maggiore protezione da parte dell’ordinamento [13]. Il loro fondamento costituzionale va dunque ricercato in questi interessi, che sono tutelati direttamente o tramite norma di apertura al diritto europeo dalla nostra Carta fondamentale. Le vicende particolari che hanno accompagnato la genesi di tali prerogative mostrano come esse siano sorte, in ciascun caso, da logiche compromissorie, contestualmente rivelando una loro incidenza tardiva – in quanto traslata al momento del giudizio – sulla protezione di quell’interesse pubblico rilevante che ne giustifica la previsione. Con riguardo all’AGCM, infatti, la legittimazione processuale è sorta, come ha rilevato attenta dottrina, «dall’esigenza di superare in qualche modo la prassi poco soddisfacente relativa ai poteri di segnalazione e consultivi attribuiti all’Autorità […] che in molti casi restano senza seguito da parte delle am­ministrazioni destinatarie» [14], ma anche, a dire il vero, dagli organi politici, che poco recepiscono le proposte di modifiche normative espresse [continua ..]


3. Il lato oscuro dei processi fra pubbliche amministrazioni

Nel corso della trasformazione che sta interessando la parte statica del pro­cesso amministrativo, testimoniata non da ultimo dal cd. processo a parti invertite di cui la Consulta ha riconosciuto la legittimità costituzionale [41], si inseriscono anche i giudizi che sorgono dai poteri di iniziativa processuale delle autorità amministrative indipendenti. Anche tale contenzioso, infatti, è espressione della rottura del tradizionale schema delle parti, dato che i poteri di iniziativa processuale in esame mutano la «geografia classica del diritto processuale amministrativo, con un giudice amministrativo chiamato a decidere su conflitti non più tra una parte privata ricorrente e una parte pubblica resistente, bensì tra parti esclusivamente pubbliche» [42]. L’emergere di un contenzioso che vede l’amministrazione contestualmente rivestire i “panni” di ricorrente e resistente non è del tutto inedita nel nostro sistema di giustizia amministrativa – si pensi alle legittimazioni processuali dei vari Ministeri previste a partire dalla fine degli anni Ottanta del XX secolo – sebbene appaia perlomeno atipica. Allo stesso tempo costituisce però anche una tendenza dell’odierno legislatore, e peraltro non solo di quello italiano, rilevandosi sviluppi analoghi anche in altre esperienze europee continentali (come quella francese [43], quella tedesca [44] e quella spagnola [45]), conformemente a quel lento ma progressivo processo di europeizzazione dei diritti processuali amministrativi nazionali. Anche l’attuale contesto sociale, politico e culturale condiziona e sostiene tale tendenza, inducendo ad una pluralizzazione e frammentazione dei diversi interessi pubblici di cui le amministrazioni sono portatrici, con l’inevitabile affiorare di conflitti fra i loro interessi diversificati [46]. Quel che appare discutibile è però la scelta del legislatore nazionale di consentire alle amministrazioni di rivolgersi solo al giudice per proteggere i propri interessi [47]. Sarebbe infatti certamente più razionale ed efficiente, oltre che rispondente ad un’esigenza di accountability democratica, che i contrasti fra le pubbliche amministrazioni fossero risolti, in prima istanza, all’interno dell’amministrazione medesima, con devoluzione della decisione ad [continua ..]


4. Le singole ipotesi di legittimazione processuale: fattispecie con pochi punti fermi e ancora in cerca di regole

Le singole ipotesi di legittimazione processuale delle autorità ammnistrative indipendenti si inseriscono in fattispecie con ancora pochi punti fermi e in cerca di regole. Con riferimento alla legittimazione processuale dell’AGCM, prevista dall’art. 21-bis della legge n. 241/1990 [55], giurisprudenza e dottrina sono state fin da subito assorbite nel cercare di risolvere numerose questioni problematiche, anche in virtù di un dettato normativo che non brilla per chiarezza ed esaustività. Ma, al di là dell’applicazione che ha caratterizzato tale strumento [56], pochi sono ancora i punti fermi. E molti sono, invece, i problemi rimasti insoluti. Una questione di natura preliminare pressoché risolta dalla giurisprudenza amministrativa [57] (e costituzionale [58]) attiene alla struttura della fattispecie medesima. Tali giudici hanno infatti ritenuto che il comma 2 dell’art. 21-bis non sia autonomo rispetto al comma 1, sicché il parere dell’Autorità costituisce presupposto processuale previsto a pena di inammissibilità del successivo ricorso al giudice e l’azione giurisdizionale rappresenta l’extrema ratio per tutelare l’interesse pubblico alla concorrenza. Detta interpretazione ha negato di converso la facoltà dell’Autorità, cui la stessa ambiva [59], di poter esercitare anche direttamente lo strumento giurisdizionale. Fra le diverse ragioni a sostegno di tale tesi [60], i giudici hanno valorizzato soprattutto l’esigenza del precontenzioso, di un momento previo al giudizio di cooperazione e interlocuzione preventiva fra le amministrazioni, di loro leale collaborazione, in grado, da un lato, di realizzare la tutela dell’interesse pubblico alla concorrenza all’interno della stessa pubblica amministrazione [61], dall’altro, di deflazionare il contenzioso [62]. Si segnala tuttavia che, su tale orientamento, la dottrina [63] ha manifestato perplessità, ritenendo che sia opportuno ammettere, specie per i casi d’urgen­za, anche il ricorso diretto al giudice. Tale soluzione, infatti, consentirebbe al­l’Autorità di agire in maniera più rapida, avvalendosi, in via anticipata, della tutela cautelare. Sono pochi i punti fermi ad oggi posti dal giudice amministrativo. Costante appare ad esempio l’orientamento [continua ..]


5. Un ritorno all'oggettività del giudizio amministrativo?

Per comprendere se i poteri in esame segnino il ritorno all’oggettività del giudizio amministrativo, pare indispensabile prendere le mosse dagli studi [105] condotti da due maestri della procedura civile e che attengono al più profondo significato di “processo a contenuto oggettivo”. La (condivisibile) idea portata avanti in questi studi, ripresa anche da diversa dottrina processual-amministrativistica [106], è che l’oggettività di un giudizio debba essere misurata sull’intera struttura processuale: «il proprium di tali pro­cessi – e cioè la loro natura o essenza – va cercato nel loro interno, nella loro struttura formale, insomma nel loro contenuto e non invece in qualcosa posto al loro esterno, come avviene quando si preferisca considerare i fini che essi sono chiamati a realizzare» [107]. Occorre cioè separare, secondo tale tesi, “natura” e “finalità” del giudizio: la prima, che ne costituisce l’essenza, da cogliersi sulla base del suo contenuto e della sua struttura formale, con un’indagine che si muove sul terreno del diritto processuale; la seconda, diversamente, individuata in forza di interpretazioni sostanzialistiche esterne al processo, coincidendo con la tutela dell’inte­resse sostanziale del promotore del giudizio o della legalità ordinamentale, in base a se la domanda esprima direttamente la protezione di un interesse giuridicamente tutelato di colui che attiva la macchina processuale o il solo rispetto della legge. In altre parole ancora, si rifiuta l’idea che la natura del giudizio discenda dalla qualificazione dell’interesse a fondamento dell’azione giurisdizionale, per coglierla invece dall’intera struttura processuale, osservando alcuni “marcatori”, come la natura della legittimazione (se soggettiva o oggettiva), le modalità di avvio del processo, la disponibilità del giudizio già instaurato alle parti coinvolte, i poteri istruttori del giudice, la possibilità dello stesso giudicante di e­stendere l’oggetto del giudizio, e via dicendo. Concentrandoci, ora, sul processo amministrativo, si rileva che all’indomani della legge Crispi, e fino ad una prima parte del XX secolo, era particolarmente diffusa la configurazione del processo amministrativo come giudizio [continua ..]


6. Riflessioni conclusive in punto di legittimità costituzionale

Accingendoci al termine di tale studio, con l’intenzione di “tirarne le fila”, occorre rilevare che, nell’equivoco di partenza, basato sull’identità fra natura e finalità del giudizio, sembrano essere cadute sia parte della dottrina sia la giurisprudenza amministrativa, pur con esiti addirittura opposti. La prima, che ha sostenuto l’oggettività di tali giudizi sulla sola base di una legittimazione che trovasse un riconoscimento nel diritto positivo e che individuasse espressamente, quale fine perseguito, un interesse pubblico; la seconda, che, per far salva la natura soggettiva di tali giudizi, ha forzato talune categorie del diritto amministrativo, come quella degli “interessi diffusi” e del “bene della vita”, al fine di individuare – potrebbe dirsi, “costi quel che costi” – un interesse sottostante all’azione che fosse differenziato e qualificato. In tale contesto – se si vuole invece evitare di confondere l’essenza dallo scopo del giudizio – occorre guardare al processo in una dimensione più ampia, osservare le sue regole e la sua struttura, procedere con un’analisi che si muova sul terreno del diritto processuale. Via, questa, che ci consente di affermare che il giudizio amministrativo, anche là dove prenda vita su impulso delle autorità amministrative indipendenti, rimanga, immutato nelle proprie regole di stretta procedura, un “processo di parti”. Tutto ciò, al di là di quale sia la qualificazione dell’interesse sostanziale che muove la macchina processuale, che neppure sembrerebbe corretto far risalire, a rigor di logica, da una norma di tipo processuale [126]. Dubbi potrebbero a questo punto sorgere in punto di legittimità costituzionale di tale modello. Il quesito è in realtà già stato posto in un’occasione alla Consulta. In un giudizio sorto in via principale, infatti, è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale di una di tali previsioni – in particolare quella relativa all’AGCM – per contrasto (anche) con l’art. 113 Cost. [127]. La censura promossa dalla Regione Veneto era fondata, nel caso di specie, su una rigida interpretazione del testo costituzionale, in base alla quale tutto ciò che devia dall’ordinario modello di legittimazione soggettiva [continua ..]


NOTE