Dalla legge bancaria del 1936 in Italia, la regolamentazione pubblica delle banche è stata costituita da norme legislative e norme di attuazione “secondarie” stabilite dalle autorità di controllo amministrative.
Questa caratteristica formale è rimasta costante mentre nel tempo i mercati finanziari sono cambiati profondamente, fino a Fintech.
Di conseguenza, la regolamentazione si moltiplicò e divenne un complicato “puzzle”.
I principali fattori di cambiamento nei sistemi di regole sono: l’uso crescente di nozioni di economia e tecnica bancaria; la “proliferazione” delle discipline giuridiche dell’organizzazione e dell’attività delle banche; la progressiva integrazione e globalizzazione dei mercati finanziari; il ruolo dominante delle istituzioni dell’UE nella regolamentazione delle banche.
Con l’Unione bancaria questo ruolo è stato esteso alla supervisione e alla risoluzione delle crisi.
Di conseguenza, la Corte di giustizia dell’UE svolge un ruolo decisivo nella costruzione di un sistema unificato di principi e regole.
Questo processo si svolge attraverso una costante relazione di scambio e dialogo con le Corti di vertice degli Stati membri dell’UE.
Since the banking law of 1936 in Italy the public regulation of banks has been made up by legislative rules and “secondary” implementing rules set by the administrative supervisory authorities.
This formal feature has remained constant while over time the financial markets have changed profoundly, up to Fintech.
Consequently, the regulation multiplied and became a complicated “puzzle”.
The main factors of change in the systems of rules are: the growing use of notions of economy and banking technique; the “proliferation” of legal disciplines of the organization and activity of banks; the progressive integration and globalization of financial markets; the dominant role of EU institutions in bank’s regulation.
With the Banking Union this role has been extended to the supervision and resolution of crises.
Consequently, the EU Court of Justice plays a decisive role in the construction of a unified system of principles and rules.
This process takes place through a constant relationship of exchange and dialogue with the “top” Courts of the EU member States.
Key Words: Regulation of Banks – European Union and Member States – European and National Judges
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1. Gli scenari - 2. I cinque fattori delle mutazioni - 3. La tecnificazione - 4. La giuridificazione - 5. L’integrazione tra le attività finanziarie - 6. La UE e la stratificazione delle fonti precettive - 7. Funzione sistemica e valenza precettiva delle sentenze delle Corti - 8. La “dialettica circolare” tra le Corti sulla conformità della regolamentazione bancaria ai principi “costituzionali”, europei e nazionali - 9. I principi di diritto procedurale nella giurisprudenza della Corte di Giustizia - 10. La delimitazione delle competenze tra la BCE e le Autorità Nazionali di vigilanza - 11. L’applicazione da parte della BCE del diritto nazionale di recepimento di direttive europee - 12. La definizione di “aiuti di Stato” in campo bancario - 13. La Corte di Giustizia come “arbitro” tra le Corti italiane o loro “sponda” - 14. Conclusioni problematiche - NOTE
L’avvio, nel nostro Paese, dello studio della regolazione pubblica dell’attività bancaria, dopo la crisi del 1929-33 – in concreto, dopo la legislazione bancaria del 1936/38 – viene comunemente fatto risalire ad ottanta anni fa, al saggio di M.S. Giannini [1]. Da allora lo scenario – nella triplice accezione di contesto economico, istituzionale e normativo – è mutato molte volte e con esso, ovviamente, le costruzioni della scienza giuridica. Queste mutazioni sono state ricostruite più volte [2] e sono ampiamente conosciute. Per quel che riguarda specificamente il tema delle fonti delle regolamentazioni pubbliche, da allora ad oggi si possono individuare due fili rossi di continuità: – il primo è che le banche svolgevano, e svolgono, “funzioni di interesse pubblico” (locuzione che, nel tempo, ha assunto via via significati ben diversi da quello originario) e ciò costituisce il presupposto che legittima – oggi a vari livelli istituzionali – la produzione di regolamentazioni da parte di organismi pubblici (oltre che interventi in caso di crisi, singole o potenzialmente sistemiche); – il secondo, è che le fonti normative (o, più ampiamente, precettive, come si dirà) erano, sin da allora, non solo atti legislativi, ma anche “atti in gran parte amministrativi: da ciò la possibilità di eliminare molte ingombranti e rigide norme di legge” (così Giannini). Ciò era reso possibile – proseguiva l’A. – dall’attribuzione all’”Ispettorato per la difesa del risparmio e l’esercizio del credito della competenza ad adottare atti amministrativi generali (cioè rivolti alla generalità, o ad alcune categorie di soggetti appartenenti all’ordinamento creditizio); parallelamente al “Comitato dei Ministri” (per il credito e il risparmio) era attribuita la competenza ad adottare deliberazioni che “sembra abbiano la forza di innovare sulla legge”; si evidenziava, dunque, l’atipica rilevanza di queste fonti. E fonti precettive di varia “provenienza” e forza formale, che descrittivamente possiamo chiamare “non legislative”, ritroviamo sino ad oggi in tutti gli ambiti istituzionali – a cominciare da quelli europei – nei quali si “producono” regole in [continua ..]
Ne consegue che l’inerenza di interessi generali all’attività delle banche e degli altri intermediari finanziari e, conseguentemente, la struttura e funzione delle regolamentazioni – sia primarie che “non legislative” – sono oggi declinate in modi diversissimi rispetto al passato. I fattori dell’evoluzione sono riconducibili a cinque processi storici, ampiamente percepiti nella comune esperienza, che hanno investito anche altri settori delle normazioni pubbliche, ma con particolare incisività quelle relative ai tre mercati finanziari: la tecnificazione delle regolazioni dei mercati; la giuridificazione dei comportamenti degli attori dei mercati; l’integrazione tra le diverse attività finanziarie; la stratificazione multilivelli, ma anche l’osmosi delle fonti; e, pro parte, la giurisdizionalizzazione della “produzione” delle regole. I primi quattro concorrono a determinare la crescente complicazione della “galassia delle regole”, rendendone molto difficoltosa la riconduzione a sistema. L’ultimo è il principale meccanismo che, nel tempo, può concorrere, anche in modo pretorio, alla “messa a sistema”.
La locuzione tecnificazione [5] ha una pluralità di significati: – quello oggettivo, attiene all’evoluzione tecnologica dei mercati finanziari – che ne ha trasfigurato l’organizzazione, i soggetti ed il funzionamento – sintetizzata, ad esempio, nell’espressione “Fintech” [6]; – quello funzionale, riferito agli apparati tecnologici dei vari organismi pubblici – ai vari livelli – che “si occupano” dei mercati finanziari; – quello soggettivo, che concerne la qualificazione e legittimazione tecnica dei regolatori pubblici indipendenti [7]; – quello – in questa sede più direttamente rilevante – della struttura delle regolazioni, le quali – com’è noto – sono la sommatoria della regolamentazione e delle decisioni della autorità di vigilanza o di risoluzione [8]. Schematizzando al massimo, la tecnificazione delle regolamentazioni è la sempre più diffusa utilizzazione – nella costruzione e struttura delle regole – di concetti, categorie ed istituti di natura tecnica, come definiti nella tecnica bancaria, finanziaria e nelle prassi contrattuali. Le regole giuridiche si sostanziano di obblighi, oneri o divieti – di organizzazione e di comportamento – che sono sovente il portato di criteri e parametri tecnici. La formalizzazione [9] in regole giuridiche è il medium attraverso il quale i parametri tecnici assumono natura precettiva. È di comune esperienza che questa sorta di interpenetrazione avviene soprattutto mediante atti “non legislativi”, che – per la loro flessibilità e la loro funzione di disciplina concreta del “come si deve operare” – sono il “contenitore” più idoneo ad “internalizzare” nella sfera precettiva le evoluzioni delle tecniche e delle prassi di ciascun settore o sottosettore. Con tali atti si dà anche corpo, con ambiti di discrezionalità, ai concetti giuridici indeterminati – come, in materia bancaria, l’iconica “sana e prudente gestione” – che caratterizzano sovente le norme primarie. E – come subito si accennerà – anche la giuridificazione trova, in materia di disciplina dei mercati finanziari (in senso lato), la propria dimensione elettiva nella normazione secondaria e terziaria.
La giuridificazione è definibile, schematizzando, come il processo multiforme che consiste nell’attrarre nella dimensione della rilevanza giuridica comportamenti o rapporti che in precedenza non l’avevano; o l’avevano in misura minore e/o l’acquistano sotto inediti profili [10]. Nel settore bancario le spinte alla giuridificazione – cioè a qualificare e regolamentare integralmente l’organizzazione delle banche e l’attività di quanti operano, a vario titolo, nel mercato bancario – sono state di due tipi, tra loro convergenti: la già accennata necessità di dare forma ed efficacia giuridica ai concetti e meccanismi delle tecniche di settore (finanziarie, aziendalistiche, ma anche informatiche) e l’intento di rimediare alle gravi disfunzioni rivelate dalla crisi finanziaria del 2008, infittendo al massimo la trama delle regole di comportamento (e, nella UE, riorganizzando ed “europeizzando” il sistema delle autorità di vigilanza). Il risultato è stato il moltiplicarsi di precetti riguardanti tutti gli aspetti della materia: dall’imposizione di complessi ratios quantitativi, alla struttura ed organizzazione delle “imprese finanziarie” (dalla governance ai controlli interni); alla puntigliosa procedimentalizzazione di ogni aspetto dell’operatività, con la correlata moltiplicazione delle strutture di controllo, interne ed esterne; alla configurazione, in capo agli esponenti delle imprese finanziarie, di una responsabilità di ruolo dei vertici in tutti casi di violazione delle regole (di qualsiasi genere); ai vertici si imputa, a seconda dei casi, la culpa in ordinando (le strutture), in eligendo (i dirigenti) o in vigilando [11] (sull’attività). Vi è peraltro un diffuso scetticismo sulla sopravvalutazione (overreliance) dell’efficacia di questa stratificazione di regole per prevenire ed evitare nuove situazioni critiche. È appena il caso di sottolineare le ricadute di questo affollarsi di atti generali precettivi (le regolamentazioni in senso lato) sull’”altra metà del cielo” della regolazione, vale a dire sull’evoluzione della funzione di vigilanza verso la supervisione sulla conformità dell’organizzazione e dell’attività delle imprese bancarie, in funzione [continua ..]
Un altro processo, che ha condizionato in modo crescente l’evoluzione delle regolamentazioni, è in atto da alcuni decenni, con moto accelerato, ed è a tutti noto: l’integrazione delle diverse attività finanziarie. I suoi effetti, sul “versante giuridico”, sono stati molteplici: sul piano dell’organizzazione, la creazione, in alcuni Paesi, di autorità nazionali di vigilanza finanziaria “unificata” e, nella UE, di autorità europee, sia settoriali che integrate o macroprudenziali; sul piano delle funzioni, il rafforzamento dei poteri delle autorità. L’effetto più vistoso è stato la sostanziale omologazione dei modelli regolatori dei tre settori finanziari: dall’adozione di T.U. e Codici; al ruolo egemone delle autorità di vigilanza; alla previsione di moduli di accordo e raccordo tra le autorità di settore, sino all’adozione di regolamenti congiunti e di normative intersettoriali; alla crescente rilevanza della tutela dei risparmiatori; alla conseguente definizione di procedure analoghe da seguirsi nei rapporti contrattuali [14] con la clientela; alla creazione di organismi di definizione extragiudiziale delle controversie (ABF; ACF; ACA).
La stratificazione multilivelli delle fonti precettive è comune al settore bancario ed agli altri due settori finanziari, ma – a seguito della Banking Union – ha registrato un’asimmetria “in avanti” per quanto riguarda la regolamentazione bancaria. Schematizzando il panorama attuale appare caratterizzato: a) dalla molteplicità delle fonti soggettive delle regolazioni pubbliche, che vanno da organismi internazionali, ad una pluralità di istituzioni europee (tra loro, a volte, in concorrenza), ai Parlamenti ed alle autorità di regolazione nazionali. Le figure soggettive che pongono le regole sono quindi multilivelli e multispecie; b) dall’eterogeneità delle regole sotto il profilo oggettivo, per quanto riguarda la loro natura, struttura ed efficacia. Sotto questo secondo profilo si va dagli indirizzi del Financial Stability Board (che sono definibili soft law “rafforzata”), alle prescrizioni del Comitato di Basilea (“Basilea III”), poi trasfuse nelle norme dell’UE[15]; alla hard law, “a cascata”, dell’UE (regolamenti e direttive, di primo e secondo livello) e – in campo bancario – ad atti della BCE e dell’EBA; ed ancora, sul versante nazionale si va dalle norme subprimarie (rispetto a quelle europee), soprattutto decreti legislativi, ai regolamenti ed altri atti precettivi delle Autorità di vigilanza nazionali, sino alle “Linee applicative” di tali atti. Senza contare i regolamenti di organizzazione e di procedura delle Autorità, che sono atti ad efficacia esterna in quanto sovente incidono sulle posizioni soggettive dei regolati [16] (ad esempio: sotto il profilo della separazione delle funzioni istruttorie e decisorie e del diritto di partecipazione, in ordine alla quale è in corso un aperto conflitto di giurisdizione nel nostro Paese) (v. infra). In uno scenario così “affollato” quanto alle fonti e, soprattutto, caratterizzato da una fluviale produzione di regole d’ogni specie è necessario porsi due domande per così dire pregiudiziali: I) se la locuzione regolamentazione, pur ampiamente intesa, riesca a “contenere” la galassia di atti “non singolari”, che hanno efficacia giuridica di tipo prescrittivo nei confronti di una pluralità di soggetti regolati[17]. In proposito appare utile richiamare un [continua ..]
Veniamo all’ultimo macrofenomeno tra quelli indicati all’inizio di queste note. In uno scenario così complicato ricade in buona misura sui giudici, ai vari livelli, il compito di “mettere un po’ d’ordine”, in sede interpretativa/applicativa, tra le fonti precettive e – via via “risalendo” – tra i principi costitutivi dell’ordinamento, europeo e nazionale, da un lato, e la disciplina delle banche, dall’altro. La progressiva giurisdizionalizzazione, cui s’è accennato, determina un mutamento degli equilibri tra legislazione e giurisdizione “ampliando la sfera di discrezionalità del giudice chiamato a partecipare direttamente alla creazione della regola del caso concreto” [26]. In pratica: le Corti europee hanno il monopolio dell’interpretazione delle regole eurounitarie. In questa funzione interpretativa/ricostruttiva il primo, fondamentale, ambito tematico è costituito – per le Corti europee (Tribunale e Corte di Giustizia UE) e per le Corti poste al vertice degli ordinamenti nazionali, con cui le Corti europee dialogano – dai diritti a rilevanza “costituzionale”, stabiliti nel TFUE, nella Convenzione e nella Carta EDU e nelle Costituzioni nazionali; diritti personali ed economici [27]. In quest’ambito le Corti nazionali (in Italia Corte costituzionale, Consiglio di Stato e Cassazione) valutano la conformità delle regole di settore – delle varie “specie” e fonti, sia eurounitarie che nazionali – ai Trattati, alla Carta dei diritti fondamentali ed alle rispettive Costituzioni (ed ai principi ad esse comuni). Il secondo ambito riguarda la definizione, di volta in volta, del diritto applicabile, in particolare in relazione all’autosufficienza della regolamentazione di settore europea o alla necessità di far ricorso, integrativamente, alla normazione di settore nazionale. Sempre in quest’ambito la Corte di Giustizia è chiamata a pronunciarsi sulla titolarità della giurisdizione nelle diverse fattispecie di contenzioso “ad oggetto bancario”, in correlazione alla ripartizione dei poteri tra autorità europee ed autorità nazionali. Temi centrali in materia sono stati, tra altri: se i poteri della BCE di supervisione diretta sulle banche significative siano esclusivi, o meno; le [continua ..]
Iniziando dal primo ambito tematico è necessario mettere a fuoco i due elementi del rapporto cui fa riferimento il titolo di questo paragrafo: – quali sono le fonti di precetti, che disciplinano le attività bancarie, assoggettate allo scrutinio di conformità “costituzionale”; – e quali sono i principi delle fonti “superprimarie” – i Trattati, la Convenzione EDU e le Costituzioni nazionali – che vengono in rilievo come parametri di legittimità degli atti di regolazione bancaria (la quale, come s’è detto, è l’insieme della regolamentazione e dei procedimenti di supervisione e risoluzione). Sul primo versante la risposta è venuta precisandosi nella prassi della BCE e nella giurisprudenza della Corte di Giustizia: le fonti precettive si “estendono” sino a comprendere gli atti di regolamentazione “terziaria”, come le “linee guida”, in quanto destinati a produrre effetti giuridici conformativi dei comportamenti dei soggetti supervisionati [28]. Non comprendono, invece, i pareri e le raccomandazioni, che non sono soggetti al sindacato della Corte di Giustizia in quanto non dispiegano effetti diretti nei confronti delle imprese bancarie, ma conformano le scelte delle Autorità Nazionali di vigilanza, sia nell’interpretazione delle regole europee sia nello svolgimento della loro attività [29]. Di notevole rilevanza per quanto riguarda il settore bancario, ed in particolare gli interventi degli Stati nelle crisi bancarie, è la sentenza della Corte di Giustizia (Grande Sezione) 19 luglio 2016 (causa C-526/14), Tadej Kotnik e altri c/o Državni svet Republike Slovenije (Consiglio Nazionale della Repubblica Slovenia) [30]. La Corte costituzionale della Slovenia aveva sottoposto alla Corte di Giustizia, in via pregiudiziale, la questione se la “Comunicazione sul settore bancario” della Commissione europea (G.U. 2013, C 216, p. 1) dovesse essere interpretata nel senso che essa ha un effetto vincolante nei confronti degli Stati membri che intendono porre rimedio ad un grave turbamento dell’economia mediante aiuti di Stato a favore di istituti di credito in crisi, laddove tale aiuto abbia carattere permanente e non possa essere facilmente revocato. In buona sostanza si chiedeva se l’impostazione della “Comunicazione”, estremamente restrittiva, [continua ..]
Dopo aver accennato al profilo oggettivo – la vasta categoria delle fonti precettive – del sindacato di legittimità dei giudici europei e nazionali, vengono in rilievo – in relazione ai soggetti – i principi di “diritto procedurale” (dal diritto di azione e di opposizione; all’accessibilità agli atti dei procedimenti; al diritto di partecipazione paritario degli interessati alle procedure contenziose; alla terzietà degli organi giudicanti, rispetto ai “requirenti” ed ai sanzionati). Con la locuzione istituti di “diritto procedurale” ci si riferisce – sulla scorta di Feliciano Benvenuti – ai principi comuni alle procedure contenziose, sia procedimentali, in sede amministrativa, sia processuali, in sede giurisdizionale. Viene innanzitutto in rilievo la legittimazione a ricorrere (“locus standi”), che ha formato oggetto della sentenza della Corte di Giustizia 5 novembre 2019 (nelle cause riunite C-663/17P, C665/17P e C-669/17P), BCE c/o Trasta Komercbanka A.S. La Corte – dopo aver ricordato che “il principio di tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri … sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea del 1950 ed è adesso affermato all’articolo 47 della Carta” – ha richiamato l’art. 263, comma 4, del TFUE che garantisce il diritto di proporre dinanzi al giudice dell’Unione un ricorso di annullamento contro una decisione di un’istituzione dell’Unione stessa. Nello specifico, tuttavia, la Corte di Giustizia ha negato la legittimazione degli azionisti della banca lettone Trasta Komercbanka a proporre ricorso avverso il provvedimento della BCE di revoca dell’autorizzazione bancaria e la conseguente messa in liquidazione della società (disposta dal Tribunale di Riga). Ciò sulla base dell’argomentazione che la revoca non avrebbe inciso sui diritti patrimoniali ed amministrativi dei soci, ma solo sulla loro situazione economica. Una motivazione invero opinabile poiché nel diritto lettone la revoca dell’autorizzazione determina automaticamente la messa in liquidazione della società bancaria (la quale, ex lege, ha come finalità esclusiva l’esercizio dell’attività di [continua ..]
L’attribuzione alla BCE di funzioni “egemoni” in tema di supervisione sulle banche da un lato ha generato talune resistenze nazionali a “sottomettersi” all’Autorità europea e, dall’altro, ha indotto a “mettere a fuoco” i meccanismi di osmosi tra le regolamentazioni (e di coamministrazione dei procedimenti, tra BCE ed Autorità nazionali). Sul primo versante oggetto del contrasto sono le differenti interpretazioni della nuova formula organizzatoria della supervisione bancaria, incentrata sulla BCE, delineata nel regolamento SSM. Per un verso un’interpretazione “centralizzatrice”, con la concentrazione delle funzioni in capo alla BCE e la qualificazione del ruolo delle Autorità Nazionali di controllo come di mera assistenza, perfino relativamente agli enti creditizi “non significativi” (la cui vigilanza è rimasta di competenza delle Banche Nazionali). Dall’altro una visione più articolata che – pur riconoscendo alla BCE competenza potenzialmente generalizzata, espandibile anche nei confronti delle banche “non significative” – afferma la sussistenza – più precisamente: la persistenza – di una competenza autonoma delle Autorità Nazionali in materia di banche “less significant” e qualifica, più in generale, come collaborazione/coamministrazione il rapporto tra la BCE e le Banche Nazionali. A parere di chi scrive la condivisibile tesi dell’insussistenza di una sorta di rapporto gerarchico improprio tra BCE ed ANC non smentisce la sovraordinazione della prima. I confini delle rispettive competenze sono mobili, in entrambi i sensi: espansivo delle competenze della BCE, sia in materia regolamentare che di supervisione operativa, o – viceversa – restrittivo, ove sussistano “particolari circostanze” che consentono di lasciare la supervisione in capo alla Banca Nazionale. Il punto è che a manovrare le paratie mobili, in entrambe le direzioni, sono comunque decisioni motivate della Banca di Francoforte. In questo quadro si colloca la nota vicenda della Landeskreditbank Baden – Wüttemberg Förderbank c/o BCE. La Landeskreditbank – essendo stata qualificata dalla BCE come significativa e quindi assoggettata alla sua supervisione – aveva proposto ricorso al Tribunale UE, che l’aveva [continua ..]
Sul versante concettualmente speculare a quello delle resistenze all’”egemonia” della BCE in tema di supervisione bancaria si colloca l’art. 4(3) del Regolamento sul SSM, giusta il quale “ai fini dell’assolvimento dei compiti” [di supervisione] … “e allo scopo di assicurare standard elevati di vigilanza la Banca Centrale Europea deve applicare tutto il pertinente diritto dell’Unione e, se tale diritto dell’Unione è composto da direttive, la legislazione nazionale di recepimento di tali direttive”. La disposizione – prevedendo l’applicazione diretta in sede europea della legislazione nazionale attuativa di direttive – prefigura un’integrazione automatica, in un unico plesso precettivo, delle regole di vigilanza europee e nazionali, da applicarsi dalla BCE. Si tratta di un’integrazione funzionale, ch’è necessaria in caso di direttive non self executing, ma è tendenzialmente superflua in caso di regolamenti o di direttive di secondo grado, attuativi e perciò dettagliati. Il riferimento alla legislazione nazionale sembrerebbe circoscrivere l’ambito di applicazione automatica – da parte della BCE – della regolamentazione nazionale a quella direttamente imputabile agli Stati membri (in Italia: leggi, decreti legislativi o regolamenti governativi, ad esempio in materia di requisiti degli esponenti bancari), ma non a quella adottata dalle Autorità Nazionali di vigilanza (“Considerando” 34 del regolamento (UE) n. 1024/2013). Sta di fatto che nel nostro Paese il recepimento delle direttive è avvenuto talora mediante atti di Banca d’Italia, in qualche caso previe deliberazioni del CICR [39]. L’art. 4(3) del regolamento SSM ha posto numerosi problemi interpretativi, in relazione al caleidoscopio delle situazioni configurabili, ed ha trovato applicazione nella sentenza del Tribunale UE 24 aprile 2018 (cause riunite da T133/16 a T136/16, Caisses régionales de crédit agricole mutuel Alpes Provence et autres c/o BCE) [40]. Peraltro l’ordinamento del SSM, delineato dal regolamento (UE) n. 1024/2013, è stato integrato “a cascata” dalla BCE, che ha adottato prima il regolamento quadro n. 468/2014 e successivamente – per quanto interessa l’applicazione delle regole attuative di direttive poste [continua ..]
Venendo alla tematica degli aiuti di Stato ammissibili in situazioni critiche di banche di particolare interesse appaiono almeno due sentenze. La prima, meno conosciuta perché riferita ad una vicenda antecedente all’Unione Bancaria, è la sentenza della Corte di Giustizia 8 novembre 2016 (causa C-41/15, Dowling e a. c/o Minister of Finance di Irlanda). Sulla base della regolamentazione eurounitaria previgente (le direttive bancarie nonché il regolamento (UE) n. 407/2010, istitutivo del meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria, e la decisione di esecuzione 2011/77, concernente la Repubblica d’Irlanda) il Ministro delle Finanze irlandese, constatata la grave crisi della banca Permanent TSB plc, aveva ottenuto dalla High Court un’ordinanza ingiuntiva. L’ordinanza imponeva alla controllante della banca stessa di emettere nuove azioni, a favore del Ministero, in cambio del conferimento di 2,7 miliardi di euro. In tal modo il Ministero aveva ottenuto il 99,2% delle azioni della società senza l’accordo dell’assemblea degli azionisti, la quale, peraltro, in precedenza si era opposta alla proposta di procedere alla ricapitalizzazione della società con i fondi statali. Alcuni azionisti avevano proposto ricorso allegando che la ricapitalizzazione coattiva da parte dello Stato aveva impedito ai privati partecipanti al capitale di (tentare di) far fronte con strumenti di mercato all’urgente ricapitalizzazione. La Corte di Giustizia ha ritenuto che la misura fosse legittima in relazione alla situazione generale di grave perturbazione economico-finanziaria della Repubblica d’Irlanda, all’ingente ricapitalizzazione urgente, nonché alla manifesta implausibilità che essa fosse realizzabile con iniziative di mercato [41]. S’è trattato di una valutazione previsionale, parametro che viene in grande rilievo nell’attuale sistema del SRM in quanto al centro del processo decisionale del SRB vi è una ponderazione probabilistica in ordine alla risolubilità, o meno, della crisi della banca. Molto nota è, invece, la seconda sentenza, questa volta del Tribunale UE, 19 marzo 2019 (nelle cause riunite T-98/16, T-196/16 e T-198/16, Repubblica Italiana e a. c/o Commissione europea), relativa al “caso TERCAS”, che ha annullato la decisione 2016/1208 della Commissione (la quale aveva considerato aiuto di [continua ..]
La Corte di Giustizia si è trovata a svolgere un inedito (e scomodo) ruolo di “arbitro” del contrasto giurisprudenziale tra Corte costituzionale e Consiglio di Stato sulla legittimità, europea e nazionale, delle disposizioni legislative, ma soprattutto di Banca d’Italia, che hanno limitato al massimo il rimborso dei soci recedenti delle banche popolari all’atto della loro trasformazione in s.p.a. Com’è noto [43] la Corte costituzionale era stata investita dal Consiglio di Stato di varie questioni di legittimità dell’art. 28, comma 2 ter, del TUB, che ha demandato alla Banca d’Italia di disciplinare le limitazioni al diritto al rimborso “anche in deroga a norme di legge laddove ciò è necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca” (ciò che Banca d’Italia aveva fatto con il 9° aggiornamento, in data 9 giugno 2015, alle “Istruzioni di vigilanza”). La Corte, con sentenza 15 maggio 2018, n. 99, ha dichiarato infondate tutte le questioni. Il Consiglio di Stato, evidentemente inappagato delle motivazioni della Corte costituzionale, nell’ambito di un successivo giudizio, relativo ad una questione analoga, con ordinanza della Sezione VI, 26 ottobre 2018, n. 06129/2018 ha rinviato la questione, in via pregiudiziale, alla Corte di Giustizia. Al momento la Corte UE non si è ancora pronunciata. Al di là della decisione di merito che sarà adottata è da sottolineare il ruolo di giudice di ultima istanza ch’essa è chiamata a svolgere (ruolo che forse non è gradito dai giudici di Lussemburgo, che potrebbero ricorrere a qualche forma di “fin de non recevoir”). In un altro caso la Corte di Giustizia ha invece “giocato di sponda” con il Consiglio di Stato. Si tratta della nota vicenda del diniego di autorizzazione all’acquisto indiretto di una partecipazione qualificata in Banca Mediolanum, da parte di Silvio Berlusconi, tramite Fininvest. Lo svolgimento della vicenda ha visto un complesso succedersi ed intrecciarsi di pronunce del TAR Lazio e del Consiglio di Stato e poi della Corte di Giustizia – tutte “giocate” su profili processualistici – che sono state approfonditamente analizzate dalla dottrina [44]. In questa sede ci si limita ad [continua ..]
Innanzitutto una notazione comparatistica: la panoramica della compresenza e dell’intreccio “dialettico” (e talvolta “armonizzato” in sede giurisdizionale europea), delle fonti precettive è riferibile, oltre che all’Italia, a molti Paesi dell’Europa continentale, a partire da quelli – Germania e Francia – egemoni nella costruzione del sistema giuridico eurounitario. Due sono le ragioni di questa estendibilità: – sono ordinamenti nazionali storicamente “a diritto amministrativo” [45] e questa “matrice” comune determina un’analogia di impatti dei macrofattori di mutamento analizzati nella prima parte di questo scritto; – e – come confermano i riferimenti “a campione” alla giurisprudenza della Corte di Giustizia – gli arrêt giurisdizionali riguardano società bancarie, o coinvolgono le Banche Nazionali, di molti Paesi di tale area geografica. Nel merito la sommatoria delle macrotendenze che determinano le trasformazioni degli ordinamenti bancari europei produce – come s’è accennato – effetti analoghi nei rapporti tra le diverse fonti precettive, sia a scala europea che alle scale nazionali. Ciò vale sia per i profili per così dire “fisiologici”, di evoluzione delle tendenze in atto, sia per quelli più problematici, che necessitano di correzioni, anche alla luce di sviluppi già prepotentemente in atto. Presenta criticità, innanzitutto, la tecnificazione, sub specie di evoluzione tecnologica delle attività bancarie. Intuitivamente appare probabile che più diviene sofisticata la Fintech più si rende difficile il matching, la mediazione/recezione, con il linguaggio e le categorie giuridiche. Il rischio conseguente è la rapida obsolescenza delle regolazioni pubblicistiche rispetto all’organizzazione e funzionamento del mercato. La minuziosa giuridificazione – soprattutto procedurale – sia dell’organizzazione (in particolare della governance) che delle attività bancarie rischia di focalizzare i controlli sulla compliance formale, sovrapponendo impropriamente difformità delle prassi operative e deficienze gestionali. Se è vero che le violazioni procedurali sono spesso sintomatiche di mala gestio, non è specularmente vero che la [continua ..]